Allestire una mostra, in poche parole, cosa vuol dire? Solo appendere quadri? Certamente no, se così fosse sarebbe molto riduttivo. Per me l’allestimento di una mostra è l’ultima fase di una lunga e complessa operazione che inizia con l’essere partecipe in una programmazione che ha l’intento di mettere in evidenza, nel caso di una mostra collettiva, una serie di opere d’arte per donare al pubblico diversi spunti di riflessione. Mostre collettive che possono spaziare liberamente senza indicazioni precise o che possono avere un tema conduttore comune. Diversamente la mostra personale di un singolo artista richiede un approccio diverso, perché è necessario tuffarsi nei concetti più interiori dell’artista stesso, immedesimandosi e dialogando con l’interessato.
E un memorial? Esporre le opere di un artista scomparso è tutt’altra cosa: si tratta di un’emozione diversa. Perciò, è senz’altro utile e doveroso approfondire il suo vissuto, tramite qualsiasi documentazione disponibile ma, poi, bisogna fare il salto qualitativo per entrare nella specifica personalità dell’autore cercando di essere idealmente affiancati come sarebbe stato di suo gradimento.
Di conseguenza l’allestimento deve diventare una sorta di racconto più emozionale che cronologico. Nel caso di Danilo Pepato Franci è necessario immergersi nelle sue lontane emozioni di tipo naturalistico per assaporare la dolcezza dei paesaggi alpini e il calore delle luci che ha saputo pennellare con sapienza. Ecco, allora, che l’esposizione tematica delle sue interpretazioni emotive assume un valore profondo che deve coinvolgere lo spettatore in un momento globale. Un “Unicum” che trapela non solo da opere vetuste che il tempo ha cercato inutilmente di appannare ma, anche dall’insieme complessivo che, unitamente alle tipiche cornici barocche di un tempo, riesce ancora a trasmettere per donare una freschezza vivace dello spirito originale ed immutabile dell’artista.
“Bolzano, dicembre 2021 “